“La danza è il principio di tutte le cose; ha visto la luce insieme a Eros, perché questa danza primigenia appare già nel coro delle costellazioni, nel movimento dei pianeti e delle stelle, nei girotondi e nelle evoluzioni che essi intrecciano nel cielo e nell’armonia del loro ordine”. È da questa riflessione del sofista Luciano di Samosata (160 d.c.) che Michela Lucenti prende spunto per MAD Museo antropologico del danzatore.
Balletto Civile torna a donare i corpi allo sguardo. Il Tutto ha bisogno di essere Altrove, la danza è entrare in un altro mondo, questo è ciò che da sempre affascina la coreografa spezina e il suo nucleo di artisti. Ma che danza guardare e donare dopo il disorientamento della pandemia e dell’isolamento?
“Tornare a vedere un corpo da vicino - spiega Michela Lucenti - percepirne il calore, l’energia e la forza espressiva, nonché appagare il bisogno di bellezza. Di questo crediamo ci sia bisogno ora”.
Protagonisti di questa originale creazione/installazione per le piazze di Rovereto e Trento sono dieci danzatori/attori immersi nel Museo antropologico del danzatore che Lucenti ha immaginato affinché il capitolo fisico di ciascuno diventi opera d’arte. Un velo plastico che potrebbe far pensare a una teca, ma anche a una serra, un diaframma o una lente d’ingrandimento, divide il corpo danzante dallo sguardo esterno del pubblico. Sarà la forza esplosiva del corpo a fare da detonatore e calamita degli sguardi. Del resto in ciascuna teca c’è un pezzo unico; la storia di un uomo, o di una donna, li accomuna un sottofondo comune, una Sinfonia che risuona come una preghiera laica.
Osservare, studiare questo materiale umano è il compito dello spettatore avvolto in una struttura orchestrata dai solisti che attraverso i suoni, le parole i canti creano micromondi di immaginari esplosi.
Un sottofondo che unisce e cimenta questo singolare momento storico. “Non credo - chiosa Lucenti - che in questa particolare situazione pandemica sia importante costruire rappresentazioni. Piuttosto decostruire la forma mimetica a favore di una forma simbolica affinché il corpo danzante si faccia tramite del cambiamento; del resto il suo è un atto di per sé di trasformazione, come sempre tra le righe delle nostre parole e nel sudore dei nostri corpi”.