Le migrazioni contemporanee, che rendono prossimo il resto del mondo, hanno spezzato bruscamente il tempo della modernità. Quando l’Altro non è più tenuto a distanza, ma comincia ad apparire costantemente qui, quando l’incontro tra culture, storie, religioni e lingue diverse non è più episodico, non è limitato alle zone di confine dell’epoca coloniale, ma emerge al centro della nostra vita quotidiana, nelle nostre città e nelle nostre culture, la ragione occidentale deve ripensare i propri punti di riferimento, le proprie fondamenta, aprirsi a nuove prospettive e nuovi percorsi. Nell’incontro con l’alterità, nel confronto con voci, identità, ragioni e poteri differenti, il pensiero critico si trova allora costretto a riconsiderare i linguaggi che rappresentano il progresso: dalla storiografia alla sociologia, dalla musica alla tecnica. Mentre dinanzi alla “minaccia” dello straniero, la difesa rigida di un’identità storica tramite il ricorso all’autorità delle tradizioni e delle istituzioni locali assume il senso di un miope congedo dagli inesorabili processi storici e culturali in corso. Il senso inaspettato dello spaesamento che emerge da questi paesaggi migratori, suggerisce di instaurare un rapporto radicalmente diverso, sicuramente meno arrogante e più critico, con la propria formazione storico-culturale. Da qui le nostre storie, le nostre lingue e i nostri ricordi sono trasformati da punto di arrivo a punto di partenza.