La globalizzazione, che fa circolare non solo merci e forza lavoro ma anche identità culturali e religiose; l’irrompere nella scena mondiale del fondamentalismo islamico in una situazione in cui i processi migratori relativizzano la dimensione esterno/interno del fenomeno; gli immigrati percepiti come fattore di insicurezza; la crisi delle democrazia, stretta tra dimensione nazionale della decisione e portata mondiale dei fenomeni; l’impatto tra globale e locale, tra flussi e luoghi; la fine della “grandi narrazioni” novecentesche; i nuovi assetti delle relazioni internazionali. Sono solo alcune delle cause che producono una diffusa percezione dell’Altro come fattore di dis-integrazione e conflitto. A produrre un simile esito, che rovescia l’ordine del discorso dominante nella seconda metà del XX secolo, caratterizzato dalle dimensione dell’apertura e dell’inclusione, da una visione universalista dei diritti e da uno sguardo cosmopolita, sono anche visioni del mondo e culture politiche che cercano nell’orizzonte nazionale o locale, nell’appello all’uniformità identitaria, culturale o religiosa che sia, nella ricostruzione della “comunità impossibile”, un sicuro rifugio. Questo rovesciamento dell’immagine dell’Altro, della sua radicale trasformazione in fattore di conflitto, sono al centro della riflessione sul tema l’Altro e il conflitto.