Spettacolo creato in occasione della residenza della compagnia a Sceaux dal settembre 1998 al marzo 1999
Coproduzione di Les Gémeaux/Sceaux/Scène Nationale/Cie Quat’Zarts con il sostegno di Adami, Caisse des Dépôts et Consignations, AFAA Association Française d’Action Artistique, Ministère des Affaires étrangères , Drac Île de France, Ministère de la Culture et de la Communication
Catherine Berbessou è una delle tante discepole della coppia Françoise (1925) e Dominique Dupuis (1930), pionieri del moderno d’oltralpe dove tuttora danzano, lei formata al classico e al verbo di Martha Graham e Merce Cunningham, lui ballerino nella troupe “rossa” di Jean Weidt, storico esponente comunista della danza espressiva europea. Sono i primi anni Ottanta e, dopo l’incontro fondante con questi due maestri, Catherine ben presto diventa interprete per Joelle Bouvier- Regis Obadia (anch’essi alunni dei Dupuy), cioé L'Esquisse, gruppo dal segno fisico forte e sensuale, dove resta per cinque anni, fino al 1988, per passare poi nelle file di Claude Brumachon, dove è impegnata per altri due. Un percorso esemplare nel cuore della più titolata coreografia francese di oggi, che nel 1990 la spinge a creare in proprio e dar vita alla sua compagnia. Nascono un trio, "En marche arrière" e un duo "Candy Apple", il che non esclude un rientro con l'Esquisse per "Plein soleil" nel 1992, ma l'anno seguente, dopo aver firmato "A’ table", il suo terzo balletto, Catherine è colta dalla passione per il tango, che studia e pratica a Buenos Aires con grandi maestri come Pupi Castello, Graziella Gonzales, Gustavo Naveira. E' tra le prime, Catherine, ad accorgersi che la cosiddetta "nouvelle danse", esaurita la spinta montante, ha bisogno di nutrimento, di linfe fresche, di altri sapori, pena un manierismo raffinato, ma esangue. Forte delle esperienze fatte e di quanto ha appreso nelle milongas, la Berbessou debutta alla Biennale de Lyon 1996 con i suoi danzatori eccellenti sotto la nuova sigla Quat'zarts in "A fuego lento", un mix di passi tanghèri e di modi della danza contemporanea francese. Uno spettacolo fortunatissimo, due volte ospite del festival Oriente Occidente, che cala il tango nella forma del teatrodanza, in qualche modo "cugino" di quello bauschiano, e che rivaluta la carnalità del ballo di coppia, simbolo dell’impossibilità radicale dell’amore e della sua eterna ricerca, tra corteggiamento e combattimento, sui ritmi e sulle voci (anche un raro “duettango” uomo-donna) della lontananza, della nostalgia, del turbamento, del desiderio eccitato e sempre insoddisfatto, indagato e descritto minuto per minuto, dalla vestizione agli abbracci serrati agli addii di fine serata. Il tango con la sua varietà e la sua ricchezza, ha continuato, comunque, a nutrire la fantasia della coreografa, che si presenta a tutti gli effetti come la continuatrice, a fine 900, di quella scoperta e nobilitazione del tango che vide Parigi protagonista negli anni ‘10 e ancora nel 1983 con il megaspettacolo “Tango argentino” di Claudio Segovia e Hector Orezzoli, destinato a trionfare anche a Broadway. Nel 1999 arriverà dunque il nuovo pezzo, "Valser", in cui Catherine Berbessou, affiancata dall'argentino Federico Rodriguez Moreno, come assistente, maestro e danzatore, rilegge nuovamente l’universo inesauribile del tango, non una danza, ma un mondo, dove filtra il sentimento profondo della vita, delle brevi gioie e delle infinite amarezze, dell’affanno quotidiano e dei sogni di felicità. Il tango è, in realtà, tanti tanghi, tra accordeon forse di origine tedesca, melodie accorate italiane, nerbo iberico, retrogusto di ritmi neri. E tra i tanti tanghi, c’è anche il tango-valse, che ricorre nella vicenda di questo complesso universo musicale e coreografico, nel senso più spontaneo e sorgivo. Lo si vede nei numerosi spettacoli di gruppi argentini doc che teatralizzano le balere e i café chantant porteñi e che, dall’epoca in cui un capostipite come “Tangueros” debuttò a Rovereto (1992), sono ben presenti in tutti i cartelloni italiani, invernali e estivi. Sul palcoscenico coperto di terra di "Valser” (anche la Bausch ha scelto questa materia per il suo dolente “Sacre du Printemps”) i ballerini intrecciano le gambe vorticosamente e scivolano allacciati sollevando nuvole di polvere, nel multiforme gioco di seduzione, che si tinge di tutte le sfumature cangianti all'infinito tra la battaglia più aggressiva e la tenerezza più struggente, con il senso di un rito pagano e sacrale di passione-patimento e di sopraffazione erotica reciproca, che pulsa eterno e sconfinato tra echi di rumba e di flamenco. “Valser” «Il percorso artistico di “Valser” si caratterizza attraverso l'incontro di più temi che possono sembrare slegati l'uno dall'altro: furioso, trascinato, tenero, gaio, bello, assennato, schiaffi, infangato, seducente, intimo, fragile, disordine, accanito, fiero, sporco, sfasciato, animale, dualità. Stabilire l'ordine a partire dal caos senza tradire il caos, giocare sull'ambivalenza, far sorgere da una stessa scaturigine ciò che si pensa incompatibile. La violenza nell'affetto, il desiderio nella repulsione, senza abbellimenti; tutto questo nella stessa pièce e nello stesso tempo».
Catherine Berbessou