Video e computer sono diventati, dalla fine del Novecento, partner d'elezione per la danza contemporanea più attenta allo spirito del tempo. E oggi accade che il corpo dei ballerini si traduca nel proprio fantasma di pura luce, immateriale, attraverso la "cattura" del movimento direttamente dalle giunture del danzatore in moto. I sensori applicati sui muscoli registrano gli impulsi corporei e li trasformano in linee di forza tracciate nell'aria, senza più peso né carne. "Biped" di Merce Cunningham e "Ghostcatching" di Bill T. Jones, ideati con l'apporto degli artisti digitali Paul Kaiser e Shelley Eskhar, sono una dimostrazione eccellente- e soprattutto poetica, nel senso che la "macchina" non prevale sull'uomo e sull'arte, ma al contrario li “serve” di un nuovo strumento- della potenza di immaginazione creativa che le nuove tecnologie, in mano agli "umanisti" possono sviluppare. Ma il precedente più illustre di queste forme di coreografia reale-virtuale è senz'altro nella fantasia ardita di una donna, Loie Fuller, pioniera di una nuova concezione del corpo in performance, corpo mutante fatto di luce, forma, colore, con l'invenzione non solo del movimento, ma anche degli accorgimenti illuminotecnici per diventare tutta un flora, una fauna, una fantasmagoria umana. Loie Fuller (Fullersberg 1862-Parigi 1928), statunitense, divenne famosa per le sue esibizioni caleidoscopiche, ideate con l'ausilio di enormi veli sostenuti da lunghe bacchette e illuminate-trasformate con effetti cromatici sorprendenti e tanto essenziali alla sua arte, da essere brevettati in Francia. Dopo aver esordito in America come bambina-attrice prodigio, vincendo intanto anche una gara di valzer, per entrare poi nel circo di Buffalo Bill, mentre coltivava il sogno di diventare una star dell’opera. Si esibì in seguito a New York e a Londra in teatro, in panni maschili o in ruoli particolari, come quello di una vedova ipnotizzata- l’ipnosi era il fenomeno alla moda, come nel caso delle danze in stato di incoscienza della famosa Madeleine G.- finché il grande successo le arrise finalmente inventando un'illuminazione illusionistica per la "skirt dance", allora molto in voga. Ed eccola tentare la fortuna a Parigi, il “palcoscenico del mondo”, speranzosa in un contratto all'Opéra. Ma fu alle Folies Bergère, dove già l'avevano preceduta delle imitatrici, che debuttò con la "Danza serpentina" nella stagione 1891/1892, conquistando immediatamente Mallarmé, Rodin, Toulouse Lautrec, che la ritrasse, e Debussy, tutto il bel mondo intellettuale insomma della Ville Lumière, tra cui i Simbolisti e i Futuristi al primo posto. L’ardimentosa Fuller si diceva ispirata dalle vetrate della chiesa di Notre Dame, dove si esibì, e i suoi brani più noti ne fecero il simbolo del Liberty floreale, "Fire Dance" sulla "Cavalcata delle Valchirie" di Wagner, "The Butterfly" su musica di Grieg, e poi le "Danse du Lys", "Danse des nuages", "Danse du miroir" e "La danse phosphorescente", " La danse ultraviolette" e "La danse du radium", ispirata alle ricerche sulla radioattività dei coniugi Curie. Oltre che impresaria di se stessa, con un proprio padiglione all'Esposizione Universale parigina del 1900, e dello stesso Rodin oltreoceano, Loie realizzò alcuni protofilm, tra cui "Le lys de la vie", del 1919/1920, a cui collaborò René Clair, "Visions de Rêves, "Coppelius et l'homme de sable”. Si può parlare strettamente di danza e di coreografia nel caso di Loie Fuller? Non certo nel senso di architetture di movimento e di tecnica e stile precisi, ma nel senso di arte del corpo, certamente. Lo spazio e le vibrazioni del corpo nello spazio sono stati la materia prima della sua danza sinestetica. La luce filtrata dai veli e dai vetri trasparenti, proveniente non più solo dall'alto, ma anche da sotto e dai lati, era il partner ideale della sua tessitura coreografica mutante e iridescente.