Dal 1991, anno di nascita del duo Terramara, Michele Abbondanza e Antonella Bertoni creano in tandem. L’apporto creativo proviene da entrambi e nei loro spettacoli la relazione a due si tramuta spesso in campo di indagine su cui si innestano altri temi portanti come il dolore e il tragico. Temi che insieme alla fascinazione per la mitologia si presentano in modo ricorrente – eccezion fatta per spettacoli come Spartacus e Romanzo d’infanzia e creazioni per compagnie diverse dalla loro come Figli d’Adamo per la Compagnia Aterballetto - nella loro lunga parabola artistica. Sin dal 1992, anno in cui la coppia cura le coreografie nelle città di Antigone uno spettacolo/avvenimento per cento attori di Marco Baliani fa capolino sul loro percorso la mitologia; diversi anni più tardi, nel 2004, si ripresenta con la cura dei movimenti scenici di un Edipo re per la regia di Roberto Guicciardini. Il tema del dolore e della guerra si impone con forza nel duetto firmato da Michele Abbondanza Pabbaja-abbandono della casa (1994) e nella collaborazione con Marco Baliani per lo spettacolo teatrale Sakrificë. L’interesse per la mitologia e il sacrificio si conferma nel 2000 quando Michele Abbondanza e Antonella Bertoni avviano la trilogia Ho male all’altro ispirata al tema del sacrificio per amore e alla tragedia antica di Euripide: Alcesti prima, Medea, poi. Tali spunti si traducono sul piano coreografico nello studio del sacrificio di sé (Alcesti, 2002), e del sacrificio di altri da sé (ma prosecuzione del proprio corpo), i figli in Medea, spettacolo realizzato tra il 2003 e il 2004. Chiude il cerchio del progetto la terza parte, il nuovo lavoro che il Festival Oriente Occidente coproduce quest’anno. Scrivono gli autori: “Continuiamo ad essere circondati dal tragico molto più di quando, nel 2000, iniziammo il lavoro sulla trilogia sacrificale. Attraverso spunti di ispirazione mitologica sono nate le prime due parti seguendo una concezione di espansione anche numerica dell’agnello sacrificale. C’è una vittima nell’immolarsi di Alcesti, due nel sacrificio del bene più grande, i figli, in Medea. La coppia diventata famiglia, assume ora l’impatto iconografico di un popolo. Fantasmagoria sacrificale di apparizioni e scomparse, sull’idea che se prima c’era qualcuno, un attimo dopo non c’è più nessuno. Opera corporale di figure gesticolanti e pose. Parola che diventa scrittura vocale. Nella sequenza delle immagini sarà riconoscibile di volta in volta un mito, motore dell’azione ma non necessariamente protagonista. Il conseguente ed eventuale contenuto tragico più che venire rappresentato, sarà pretesto per la definizione di forme tragiche in un intento né decorativo né illustrativo. Ogni personaggio porterà diverse umanità attraverso la sua maschera fisica e acustica in un processo drammatico di pressione sulla forma verso l’informe, verso una nuova potenziale bellezza”.