Sono ventisette le produzioni realizzate fino a oggi da Zerogrammi, compagnia torinese fondata dal coreografo Stefano Mazzotta nel 2005 e diventata con il tempo una famiglia allargata a drammaturghi, autori di varie discipline e interpreti coinvolti dalla loro guida nell’azione creativa spesso scaturita da riflessioni letterarie o filosofiche, da bagagli esperienziali di residenze in singolari luoghi della penisola. Intense, taglienti spesso tempestate di ironia, le produzioni di Zerogrammi sono un viaggio nella memoria, nei ricordi, nelle suggestioni immagazzinate da corpi plasmati al gesto “narrativo”, a un racconto danzato e danzante che si espande nello spazio. Non si discosta da questa cifra anche l’ultimo articolato progetto multimediale Elegìa delle cose perdute nel quale prendono forma un mediometraggio, una mostra fotografica e una danza. Oriente Occidente Dance Festival ospita in due diversi momenti il film alla presenza degli autori e lo spettacolo con sei danzatori site specific per il Giardino delle Sculture del Mart.
Ispirato a I Poveri, romanzo aspro e doloroso dello scrittore portoghese Raul Brandão, popolato di derelitti attanagliati da domande esistenziali insolute, il progetto di Stefano Mazzotta e della sua troupe si spinge all’indagine del tema dell’esilio, della condizione morale di chi si sente estraneo al mondo in cui vive, sospeso tra speranza e nostalgia. Un lavoro che si è nutrito durante la gestazione dell’osmosi degli interpreti con un borgo caratteristico, Settimo S. Pietro, in provincia di Cagliari, dove la compagnia ha creato in residenza sia lo spettacolo sia il film, quest’ultimo in collaborazione con il regista Massimo Gasole. Nel mediometraggio sette figure ai margini e goffe, accomunate dal medesimo sentimento malinconico e nostalgico, sentono il desiderio del riscatto. Vagano avvolti nel paesaggio affascinante della Sardegna meridionale, sulle sterminate spiagge bianche e le dune, tra le antiche case campidanesi: lo spazio naturale fa da eco al loro animo, lontananza e sospensione rendono teso il susseguirsi delle immagini. Vuoto, vertigine, orizzonte. Cose perdute o mai state. La stessa tensione che attraversa la coreografia dello spettacolo: un moltiplicarsi di vettori e direzioni, abbandoni, sospensioni sullo struggente Valzer triste di Dimitri Shostakovich.